sabato 5 novembre 2016

Una poesia sulla condizione di transessualità

Da qualche settimana navigando in rete ho scoperto un sito molto interessante che si chiama TED, si tratta in pratica di video conferenze tenute da personaggi famosi, scienziati, scrittori, artisti personalità di spicco a livello mondiale. Esplorando fra le varie categorie ho trovato questa poesia bellissima di Lee Mokobe, un poeta di strada di Cape Town.

Lee è un ragazzo trans FtM, e nel 2013, assieme al suo team di slam poetry Vocal Revolutionaries, dal nome della sua organizzazione letteraria che si prefigge di dare potere ai giovani africani si è aggiudicato il secondo posto al Brave New Voices di Chicago.
La sua poesia è molto romantica, emozionante e struggente, è un'orazione sul significato dell'identità e sulla transizione.A me ha commosso particolarmente, e mi piacerebbe condividerla con voi tutti.


Lee Mokobe è nato donna. Oggi è un giovane uomo e questa è la sua poesia su cosa significhi essere transgender. 




La prima volta che levai una preghiera fu in una cattedrale a vetrate istoriate.
Rimasi a lungo in ginocchio dopo che la congregazione si alzò,
immersi le mani nell’acqua santa,
mi segnai il petto con la la trinità,
il mio corpo sottile curvo sulla panca di legno
come un punto interrogativo.
Chiesi a Gesù di guarirmi, e quando non rispose
feci amicizia con il silenzio sperando che il mio peccato bruciasse
e salvasse la mia bocca
si sciogliesse come zucchero sulla lingua,

ma il retrogusto della vergogna rimase.
E nel tentativo di rendermi la santità
mia madre mi spiegò che miracolo io fossi
disse che sarei potuto crescere per essere quello che volevo.
Decisi di essere un ragazzo.
Era carino.
Avevo un cappellino, un sorriso sdentato,
ginocchia sbucciate da duro,
giocavo a nascondino con quel che restava dei miei obiettivi.
Ecco cos’ero.
Il vincitore di un gioco che gli altri bambini non potevano giocare
Ero il mistero dell’anatomia,
una domanda senza risposta,
in bilico tra un ragazzo bizzarro e una ragazza mortificata,
ma quando compii 12 anni la “fase ragazzo” non fu più carina.
Alle mie zie nostalgiche mancavano le mie ginocchia sotto le gonne
e mi ricordavano che quel modo di fare non avrebbe mai conquistato un marito,
che io esisto per fare figli e per un matrimonio eterosessuale.
Ingoiai i loro insulti e le loro offese.
Naturalmente non uscii allo scoperto.
I compagni di scuola scoprirono tutto e senza il mio permesso.
Mi chiamavano con nomi che non riconoscevo,
dicevano ‘lesbica’
ma io ero più maschio che femmina, più Ken che Barbie.
Non aveva niente a che fare con l’odio per il mio corpo,
lo amo abbastanza da lasciarlo fare,
lo tratto come una casa
e quando la tua casa cade a pezzi
non la abbandoni,
la rendi abbastanza accogliente da contenere tutte le tue cose,
abbastanza carina per poter accogliere gli ospiti,
rinforzi le assi del pavimento perché ti sostengano.
Mia madre teme mi sia scelta un nome di cose sfiorite.
Mentre conta gli echi lasciati da Mya Hall, Leelah Alcorn, Blake Brockington.
Teme che morirò senza un sospiro,
che diventerò un “che vergogna” nelle chiacchiere alla fermata del bus.
Dice che mi sono trasformata in un mausoleo,
che sono diventata una bara ambulante,
e la mia identità uno spettacolo grazie ai titoli delle notizie,
Bruce Jenner sulla bocca di tutti, e la crudeltà di vivere in questo corpo
diventa un asterisco in fondo alle pagine dell’uguaglianza.
Nessuno pensa mai a noi come a degli esseri umani
perché siamo più fantasmi che carne,
e la gente teme che l’espressione del mio genere sia un inganno
che esista per essere perversa,
che li intrappoli senza il loro consenso
che il mio corpo sia una festa per i loro occhi e le loro mani
e che una volta che si saranno cibati di questo finocchio
vomiteranno tutte le parti che non hanno apprezzato.
Mi rimetteranno nell’armadio appendendomi con gli altri scheletri.
Sarò l’attrazione migliore.
Vedete com’è facile spingere le persone nelle bare,
sbagliare i loro nomi sulle lapidi.
E la gente si chiede ancora perché ci siano ragazzi marcescenti
che fuggono nei corridoi dei licei,
e hanno paura di diventare un altro hashtag in un istante,
paura che le discussioni in classe diventino il giorno del giudizio,
e ora il flusso in arrivo sta accogliendo più bambini transgender che genitori.
Mi chiedo quanto ci vorrà
prima che le lettere dei trans suicida inizieranno a sembrare ridondanti,
prima che realizzeremo che i nostri corpi sono diventati lezioni sul peccato
ancor prima che imparassimo ad amarli.
Come se Dio non avesse arginato tutto questo fiato e questa compassione,
come se il mio sangue non fosse il vino che si è riversato sui piedi di Gesù.
Ora le mie preghiere sono bloccate in gola.
Forse alla fine sono guarito,
o forse semplicemente non mi importa,
forse alla fine Dio ha ascoltato le mie preghiere.


FtmGirlfriend